Nessun passo indietro e nessuna concessione. Non sul reddito di cittadinanza, stroncato, né sul salario minimo, “inefficace”.
E tantomeno su quella riforma del fisco appena approvata e bocciata “troppo frettolosamente da alcuni”.
A partire proprio dai suoi ospiti. Giorgia Meloni entra al congresso della Cgil dall’ingresso principale, a dispetto del protocollo, a mostrare anche plasticamente che non teme “fischi” o proteste.
Che non arriveranno se non in modo blando, dalla minoranza della Cgil che la accoglie intonando Bella Ciao e lasciando in sala peluche a ricordare la “strage di Stato di Cutro”.
Meloni alla Cgil, le reazioni fra i delegati: ‘Gli applausi? Solo di circostanza’.
Certo, non arriveranno nemmeno gli applausi da una platea che ascolta in un composto silenzio la mezz’ora dell’intervento con cui la premier rivendica l’azione del suo governo. E offre la promessa di un “ascolto senza pregiudizi”. Proprio quello che secondo il sindacato finora non c’è stato. Qualche timido battimano la premier lo strappa solo quando cita “l’inaccettabile” assalto alla Cgil da parte “di esponenti di estrema destra”. Ma alla fine se ne va “soddisfatta” la prima presidente del Consiglio – e di un governo di destra – a presentarsi dopo 27 anni all’assise del sindacato, che domani confermerà Maurizio Landini leader per il secondo mandato. Sale sul palco e attende, con sguardo eloquente, che la mini-protesta finisca e parte sgombrando il campo dalle “ricostruzioni” che ha letto “divertita” di suoi timori nell’affrontare l’arena della Cgil. “Mi fischiano da trent’anni, sono cavaliere al merito…” dice con una certa ironia prima di inquadrare la sua presenza nel solco di quella “unità” che si celebra proprio oggi. Certo, usa un linguaggio molto lontano da quello di una platea che mal digerisce i riferimenti identitari, e quel parlare del Paese come della “nazione”. Ma non fa una piega, seguendo l’appello del segretario a “chiedere ascolto ma anche a dare ascolto” fatto dal palco prima di invitare la premier a parlare.
Meloni sale sul palco della Cgil, alcuni delegati escono cantando ‘Bella, ciao’.
Meloni parla per la prima volta della riforma del fisco, fresca di approvazione, e presenta subito tutti i vantaggi che avranno, nelle intenzioni del governo, “i lavoratori dipendenti”, dalla flat tax sui redditi incrementali (come per gli autonomi) alla deducibilità per intero di alcune spese come istruzione e trasporti fino al taglio dell’Irpef attraverso la riduzione a tre aliquote. Una ricetta respinta dal sindacato che ha minacciato la piazza, ma che ascolta in silenzio. Solo domani Landini forse risponderà, nell’intervento conclusivo del congresso. La premier stoppa il salario minimo – su cui le opposizioni si stanno coordinando – perché potrebbe diventare una “tutela sostitutiva” dei contratti nazionali che invece vanno rafforzati. Una argomentazione che trova orecchie più sensibili, nonostante le aperture di Landini al fissare una soglia minima nella cornice di una legge sulla rappresentanza. E’ la volta poi del reddito di cittadinanza che “ha fallito” perché ha messo “nello stesso calderone” chi può lavorare e chi non può.
Ma il lavoro, scandisce, “non si crea per decreto”, ed era quindi “doveroso” cancellare il reddito per chi può lavorare. “Cosa ci hanno fatto i poveri? Niente”, assicura, “vogliamo farli uscire da quella condizione e l’unico modo è dargli un lavoro”. Scesa dal palco resta ancora una mezz’ora, in un colloquio a tu per tu con Landini che a Palazzo Chigi definiscono “franco e cordiale”, tra due che si conoscono da tempo e che hanno affrontato, lontani da taccuini e telecamere, “a 360 gradi” tutti i “temi di attualità”. Le distanze restano, confermano da entrambi i lati, ma l’intenzione di “discutere” c’è. “Doveroso esserci, mai paura del confronto” dice alla fine, lasciando Rimini in direzione di Bologna, dove la aspetta una visita (privata) di qualche ora tra gli stand di Cosmoprof, dove sì, incassa strette di mano e applausi più convinti.