La grande liquidità delle famiglie italiane è uno strumento formidabile per la crescita dell’occupazione e del welfare. Va convogliata sulle imprese in modo strutturale con una nuova generazione di fondi e gestori. Prima che lo facciano altri al posto nostro.
Le attività finanziarie nelle mani delle famiglie italiane hanno superato i 5 mila 400 miliardi, quasi il doppio del nostro debito pubblico. Come utilizzare queste risorse, senza avventure per i risparmiatori, collegandole all’economia reale e alle imprese? È questa la partita da giocare, non solo per creare crescita ma anche per dare una prospettiva di welfare efficace a una popolazione che diviene meno giovane, attraverso i fondi pensione. Il mercato finanziario è il luogo di questo collegamento: uno strumento che diviene centrale per una strategia Paese. Senza una Borsa e un sistema di fondi di venture capital e private equity, utilizzati in modo continuativo dalle aziende e dal sistema economico, è impossibile collegare la forza del risparmio e della liquidità disponibile allo sviluppo economico e all’occupazione. E se l’ottimizzazione del mercato passa inevitabilmente attraverso normative efficaci e sempre più avanzate, è anche vero che ora, finalmente, termini come dimensione delle imprese, crescita, innovazione e occupazione (con livelli di remunerazione adeguati al resto d’Europa) sono legati tra loro e sempre più ricorrenti nel dibattito, anche politico.
L’improvvisa accelerazione delle scelte americane e il senso di smarrimento dell’Europa spingono a riflettere su temi che ci erano ben noti, ma che potevamo avere il lusso di posticipare o non affrontare del tutto. Puntare alla crescita delle imprese e a un loro salto dimensionale non solo richiede un’attitudine e un’accettazione collettiva — pensiamo all’idiosincrasia del nostro Paese verso le aziende che non sono piccole o medie —, ma impone anche scelte di politica economica e industriale. Queste non devono sostituire alla rete di piccole e medie imprese quelle grandi, ma le devono affiancare. Si può offrire così all’Italia una piattaforma che da un lato rende più robuste le filiere delle aziende più piccole e favorisce il sistema delle startup, dall’altro permette di competere nel mondo. Con una politica salariale coraggiosa, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni.
Un percorso necessario e possibile è utilizzare il mercato finanziario come strumento al servizio della politica industriale e degli obiettivi di crescita, innovazione e occupazione, in un momento storico in cui la dimensione della ricchezza finanziaria disponibile è straordinaria.
Le regole
Il nuovo impianto del Tuf contribuirà a consolidare il percorso avviato con la Legge Capitali, in sinergia con le direttive europee, a partire dal Listing Act. La riforma del Tuf non punta a stravolgere l’esistente, ma a rendere il quadro normativo più chiaro e accessibile, non solo a livello nazionale ma soprattutto in un contesto internazionale, rafforzando così l’attrattività del mercato italiano e favorendo lo sviluppo di un’industria dell’asset management competitiva. Fondamentale è qui il ruolo del nuovo Fondo nazionale strategico indiretto (Fnsi), gestito da Cdp, che agirà come anchor investor a supporto del mercato azionario italiano, con attenzione alle piccole e medie imprese. Con tutti gli opportuni correttivi temporali per evitare quella corsa all’acquisto (ipercomprato) e all’uscita (ipervenduto) che ha posto fine all’esperienza dei Pir. Quindi uno strumento in cui Fnsi investe fino al 49% in fondi d’investimento di nuova costituzione, dedicati ad azioni di aziende con sede legale in Italia. Ciascuno di questi Oicr avrà autonomia e proprie strategie di gestione, ma indirizzate a quel patrimonio straordinario di aziende italiane.
È fondamentale, però, che il mercato e i suoi principali attori — dalle banche alle compagnie di assicurazione — rispondano in modo netto e responsabile a questa opportunità, contribuendo a creare una nuova generazione di gestori e fondi che abbiano l’obiettivo di sostenere la crescita del Paese. Va avviato un confronto sull’industria dell’asset management, motore delle transazioni finanziarie. Dobbiamo essere in grado di gestire direttamente, anziché lasciare che siano altri a farlo, l’enorme quantità di risparmi di cui l’Italia dispone: una vera risorsa naturale.
Questo implica la presenza di grandi player nel settore dell’asset management, capaci di operare sia negli investimenti liquidi che in quelli illiquidi. In questa prospettiva, è fondamentale coinvolgere le principali banche e compagnie assicurative del Paese per favorire la creazione di piattaforme di gestione di dimensioni adeguate, almeno su scala europea. Le operazioni di M&A nel settore finanziario, che potrebbero ridisegnare il panorama economico italiano, devono portare alla nascita di intermediari finanziari di peso, supportati da un sistema solido e integrato di asset management e investment banking.
Il ciclo delle Opa
Senza questi elementi ben strutturati, il ciclo delle Opa rischia di non tradursi in un rafforzamento del sistema. Anche la leva fiscale può giocare un ruolo determinante, purché sia strutturale e non limitata a interventi temporanei. Un esempio concreto è il bonus per la quotazione, che in passato ha generato effetti positivi immediati, ma si è esaurito rapidamente una volta terminata l’agevolazione. Per dare più stabilità e incentivare le scelte di lungo periodo, sarebbe più efficace introdurre in modo permanente un trattamento fiscale che favorisca il capitale di rischio rispetto all’indebitamento. Come? Per esempio, attraverso una riduzione dell’Ires per le imprese capitalizzate o coinvolte in operazioni di acquisizione, oltre a incentivi per gli investitori che mantengono titoli quotati nel medio termine. Un simile intervento contribuirebbe a orientare in modo strutturale le dinamiche di mercato verso una crescita sostenibile. In questo contesto, è essenziale ridefinire il ruolo dei Pir, avviando una nuova fase che ne rafforzi la funzione all’interno del sistema finanziario.
La vera sfida, sia per l’Italia che per l’Europa, è proprio questa: riconoscere il risparmio come risorsa strategica di primaria importanza. I mercati finanziari non sono entità distanti o riservate a pochi, né dovrebbero attirare attenzione solo in occasione dei delisting. Al contrario, sono uno strumento essenziale per il funzionamento dell’economia e della società perché incidono sull’occupazione, la sostenibilità, il welfare. Oggi più che mai, queste sfide passano dalle scelte di investimento.