La crescita dell’economia italiana si è fermata. Anzi, per quanto a bassa velocità, ha innestato la retromarcia chiudendo il 2022 con l’ultimo trimestre in negativo.
Tra ottobre e dicembre il Pil è diminuito dello 0,1 per cento, scendendo sotto la media europea ed interrompendo la serie di sette trimestri consecutivi con il segno più.
Grazie al turismo e ai servizi, il calo è stato però inferiore alle attese degli analisti, che avevano previsto una decelerazione più netta compresa tra -0,2 e -0,4 per cento, e permette di portare la crescita dell’intero anno al 3,9 per cento, al di sopra, in questo caso, anche delle stime del governo.
Nella Nota di aggiornamento al Def, rivista e corretta a inizio novembre dall’esecutivo Meloni appena insediato, gli economisti del Mef avevano infatti indicato un aumento del Pil del 3,7 per cento nel 2002, con una decisa frenata a +0,6 quest’anno. Un dato che ora, nonostante lo spettro recessione continui ad essere da qualche parte evocato, appare più che raggiungibile.
Le stime dell’Istat, al momento ancora preliminari, calcolano infatti in base all’andamento dello scorso anno una spinta dello 0,4 per cento sul 2023. Se insomma tutti i trimestri di quest’anno registrassero una variazione pari a zero, l’economia italiana crescerebbe comunque, per quanto a ritmo lento. Ma l’abbassamento dei prezzi dell’energia a livello internazionale potrebbe, almeno per ora, lasciar presagire anche qualcosa in più della crescita zero nei prossimo mesi.
Non a caso a ribaltare la lettura è stato anche il Fondo monetario internazionale che rispetto al -0,2 per cento previsto per l’Italia ad ottobre, ha portato la sua stima per il 2023 a +0,6 per cento, perfettamente in linea, come sottolineato anche dal ministero dell’Economia, con la Nadef.
I segnali positivi arrivano peraltro anche dal mondo del lavoro, che, con una raffica di dati Istat, dimostra una certa stabilità dell’economia. Gli occupati a dicembre sono cresciuti di 37mila unità su novembre e di 334mila unità su dicembre 2021, per quanto in stragrande maggioranza uomini. Il tasso di disoccupazione, cioè il numero di persone che cercano un lavoro sul totale della popolazione attiva, è rimasto invariato al 7,8 per cento sugli stessi livelli di novembre e in calo di un punto percentuale rispetto a dicembre 2021. Il tasso di disoccupazione giovanile è sceso al 22,1 per cento, così come è diminuito il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni, con il tasso di inattività generale al 34,3 per cento. Sale ancora, invece, il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni, che con il 60,5 per cento raggiunge il livello più alto dal 2004, data di inizio delle serie storiche. Gli occupati complessivi nel mese sono 23.215.000, in questo caso il livello più alto dopo giugno 2019. Il vulnus però c’è e sta nell’impatto, ormai profondo, che l’inflazione ha avuto e sta ancora avendo sui redditi. La forbice tra crescita dei salari e aumento dei prezzi si è ampliata in modo evidente nel 2022, toccando il 7,6 per cento. Un valore mai raggiunto prima, o almeno dal 2001, primo anno di diffusione dell’indicatore dei prezzi armonizzato a livello europeo. Lo scorso anno la stagione contrattuale ha portato al recepimento di 33 contratti collettivi: la crescita delle retribuzioni contrattuali c’è stata, ma nella media dell’anno, è stata pari a +1,1 per cento. La variazione media dei prezzi è stata invece dell’8,7 per cento. “Il taglio del cuneo previsto dalla manovra è un piccolo passo, ma serve di più”, commenta Confesercenti che chiede la detassazione degli aumenti retributivi stabiliti dai contratti nazionali: “Un intervento che aiuterebbe la ripartenza della contrattazione e dei salari, permettendo alle famiglie di recuperare almeno in parte il potere d’acquisto perduto”. Parla invece di un quadro economico “contraddistinto da grande fragilità” l’ufficio studi di Confcommercio, che sottolinea comunque il ruolo giocato dal terziario nella sostanziale tenuta di fine 2022.
Nel quarto trimestre del 2022 il Pil italiano è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e cresciuto dell’1,7% in termini tendenziali. Si tratta di un’inversione
di tendenza rispetto al +0,5% congiunturale registrato nel terzo trimestre e a sette trimestri consecutivi di crescita. La variazione congiunturale del trimestre, sottolinea l’Istat, è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell’industria, mentre i servizi registrano una crescita. Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e uno positivo della componente estera netta.
La crescita acquisita per il 2023, quella che – in base alla spinta del 2022 – si otterrebbe se tutti i trimestri di quest’anno registrassero una variazione nulla del Pil, è dello 0,4%. La previsione contenuta nella Nadef messa a punto dal governo Meloni all’inizio di novembre indica per quest’anno un aumento del Pil dello 0,6%.
Nell’ultimo trimestre dell’anno passato la crescita del Pil nei 19 Paesi dell’Eurozona ha rallentato ancora: l’aumento è stato pari allo 0,1% rispetto allo 0,3 del trimestre precedente. Nell’insieme Ue la crescita è stata pari a zero. Lo ha reso noto Eurostat in base alle prime stime flash. Secondo questi dati in Italia nel periodo ottobre-dicembre il Pil è diminuito dello 0,1%. Nell’insieme dell’anno passato la crescita del Pil è stata del 3,5% nella zona euro e del 3,6% nell’insieme Ue.