L’Italia teme si vada verso un sistema che non valorizza il modello vincente italiano, ma lo mette a rischio. Possibile sponda dalla Francia.

Dopo i 2.741 emendamenti raccolti complessivamente nella commissione Envi (Environment, Public Health and Food Safety), che lo scorso 24 ottobre con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni ha adottato la sua posizione sulla proposta presentata il 30 novembre 2022 dalla Commissione europea sul regolamento imballaggi (Packaging and Packaging Waste Regulation: Ppwr), saranno 525 le richieste di modifica che saranno portate in parlamento domani alla plenaria di Strasburgo. Di queste, 341 proprio dalla stessa commissione Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare. Per gli addetti ai lavori, gli emendamenti sono tanti, tantissimi. A riprova di un tema molto sentito e su cui l’Italia si è fatta sentire a tutti i livelli, attraverso rappresentanti delle associazioni di categoria, delle imprese, nonché politici e del governo stesso. «Si continua ad andare verso un sistema che non valorizza il modello vincente italiano, ma che lo mette a rischio. Continueremo la nostra battaglia in tutte le sedi comunitarie per difendere le ragioni di una filiera innovativa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo, che dà lavoro tutelando l’ambiente e affermando i più avanzati principi dell’economia circolare», aveva detto il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto all’indomani del primo via libera dato dalla commissione Envi.

La preoccupazione è che se il regolamento sarà approvato con il corrente impianto, l’impatto sulle filiere industriali soprattutto del packaging e dell’agroalimentare rischierà di costare all’Italia imprese, posti di lavoro, il 30% del Pil. Con un’inversione radicale rispetto al modello di riciclo basato sulla raccolta differenziata che l’Italia ha costruito in 25 anni – a partire dal decreto Ronchi – con investimenti, impianti e la benedizione dell’Europa. Che da ultimo, nel Pnrr, ha approvato un’assegnazione da 2,1 miliardi di euro per «migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare, rafforzando le infrastrutture per la raccolta differenziata, ammodernando o sviluppando nuovi impianti di trattamento, colmando il divario tra Nord e Sud del Paese». Per il riciclo chimico, l’ultima frontiera, Versalis ha da poco iniziato la costruzione di un impianto dimostrativo a Mantova. Per dire.

Introducendo il riutilizzo come paradigma guida, si complica lo scenario della gestione dei rifiuti da imballaggio: 14,5 milioni di tonnellate annue immesse al consumo, di cui l’Italia già manda a riciclo il 71,5% (dati Conai 2022) realizzando in anticipo sia l’obiettivo europeo del 65% al 2025 sia quello del 70% al 2030: un livello che è stato toccato per la prima volta nel 2019 e che, pur con un metodo di calcolo più restrittivo, si è mantenuto. «Ricordiamo che il regolamento va a impattare solo sul 4% dei rifiuti totali prodotti in Europa, ossia gli imballaggi. E che, di questa piccola fetta, a livello comunitario circa il 64% viene già correttamente riciclato», ha puntualizzato recentemente il presidente di Conai Ignazio Capuano intervistato su questo giornale.

Tra i punti più indigesti della proposta, nata con l’obiettivo di ridurre i rifiuti da packaging, la forma del regolamento, che a differenza di una direttiva non solo pone ai Paesi obiettivi ma indica anche la strada. Per esempio impone a chi non riesce a raccogliere il 90% dell’immesso al consumo di realizzare entro il 1° gennaio 2029 sistemi di deposito cauzionale (il vecchio vuoto a rendere) finalizzati al riciclo per bottiglie in plastica e contenitori in metallo fino a 3 litri di capacità. Una norma che in Italia stravolgerebbe anni di raccolta differenziata, con nuovi costi e nuove abitudini da affrontare. Altri due punti molto discussi, e che nel voto della commissione Envi sono passati per pochissimi favorevoli, sono il divieto di imballaggi monouso (art. 22) e gli obiettivi di riutilizzo (art. 26). Il primo a vietare le bustine di zucchero e di ketchup, le buste delle insalate già lavate e i flaconcini di shampoo degli hotel, il secondo a prevedere, per esempio, che dal 1° gennaio 2030 il 20% delle bibite a scaffale in bottiglia o lattina debba far parte di un circuito di riutilizzo. O che le bevande sfuse consumate sul posto debbano essere vendute in bicchieri riutilizzabili, mentre il consumatore dovrà avere la possibilità di riempire il proprio contenitore, la propria borraccia. In generale, entro il 2030 tutto il packaging dovrà essere riciclabile. Un dettaglio che la settimana scorsa in Francia ha scatenato i produttori di camembert, perché la caratteristica scatola di legno del formaggio è a rischio, non essendo inserita in circuiti di riciclo (che invece l’Italia, per come ha organizzato la raccolta differenziata, ha). L’intervento della ministra francese agli Affari Europei Laurence Boone («non toccate i produttori di camembert») e del presidente della commissione Envi Pascal Canfin («scatole di camembert, di gorgonzola o i cestini di ostriche non verranno vietati»), potrebbero essere una sponda per le richieste italiane. Si vedrà in parlamento. Il passo, dopo il voto, è ottenere un orientamento generale per il consiglio Ambiente del 18 dicembre, dopodiché partiranno i negoziati del trilogo. L’intenzione sarebbe quella di portare a casa il regolamento prima della fine della legislatura, a maggio 2024.